Abitare la città dei luoghi comuni: prospettive per la generazione Y


Per intervenire come artisti nella città è innanzitutto necessaria un’operazione di riappropriazione dello spazio, nell’ottica di una più ampia concezione di scultura (scultura costruita: Heerick, Kirkeby, Carrino, Mazzone; Scultura relazionale: Oiticica, Matta Clark, Antonio Manuel; Scultura sociale: Beuys) intesa come tutto lo spazio tridimensionale in cui ci muoviamo. Anche per vivere la città è importante comprendere che i linguaggi artistici hanno una pertinenza con la realtà delle persone, che il costruito intorno a noi condiziona la nostra esistenza se non prendiamo coscienza di dove siamo e continuiamo a subire il paesaggio.
Osservare gli edifici ma soprattutto la forma dei vuoti tra le cose, il rapporto tra esseri umani e architettura (come le persone vivono e usano gli spazi), tra natura e costruito, tra oggetti statici e in movimento è indispensabile per dare forma al nostro personale punto di vista sulla città.
Un lavoro didattico in questa direzione, l’applicazione concreta di quello che può apparire solo teoria, è stato svolto da me con gli studenti e studentesse di due classi del Liceo Artistico G. e Q. Sella di Biella nell’anno 2008: analisi di
percorsi rettilinei (da casa a scuola, da scuola ai giardini, ecc) in cui venivano catalogati fotograficamente tutti i materiali che compongono la città: i tipi di superfici, le texture, gli elementi ripetitivi del paesaggio urbano, la disposizione delle cose nello spazio e i dettagli più inosservati. E poi ancora la ricerca di quello che c’è dietro la coltre di polvere cioè dentro gli edifici abbandonati, sotto i ponti, dietro ai muri, oltre le siepi e i cancelli, sopra le cose dove la prospettiva modifica la percezione della città. Uno sviluppo di percorsi urbani concentrici nei quali l’indagine è partita dalla mappa della città, e la riappropriazione dello spazio è avvenuta percorrendo a piedi cerchi sempre più ampi attorno alla scuola. Le fotografie documentano l’edificio scolastico nei suoi vari aspetti (architettonici ecome luogo di relazioni) e ritraggono il giardino circostante, la strada, il quartiere; invadono con il loro sguardo la città, re-imparando a conoscerla.
Il nostro raccontarci o raccontare è sempre legato ad un luogo ma il luogo è tale se il nostro sguardo lo ri-conosce e ha creato un affezione ad esso. Ed è così che le teorie prendono vita nel contesto reale perché è qui che ci possiamo domandare
se la città che viviamo corrisponde a quella che desideriamo, è qui che tentiamo di ricollocarci nel paesaggio in modo più consapevole; solo dopo aver osservato, analizzato, compreso possiamo elaborare una nostra idea e un nostro progetto, anche artistico ma avendo presente che Il paesaggio, e nel nostro caso il paesaggio cittadino, è un insieme di cultura e natura, di forme mentali e forme costruite.

A tal proposito il gruppo artistico S.O.S. Società Occupazione Spazi dà vita, in modo provocatorio, al progetto La città dei luoghi comuni, per il un concorso EveryVille all’ XI Biennale di Venezia di Architettura 2008. Crea una città immaginaria, un luogo ipotetico che non ha una forma ma è relazioni umane, delle peggiori.
Questo progetto, elaborato per il concorso della Biennale, non va inteso come puro evento espositivo ma piuttosto come un invito a riflettere e contrastare ogni spinta razzista e antidemocratica che è presente dentro ognuno più profondamete di quanto si possa immaginare.
Una città che diventa l’espressione di alcuni luoghi comuni della mentalità italiana in ordine alla composizione etnografica e di nazionalità di migranti che vengono a stabilirsi temporaneamente o definitivamente in Italia, e riguardo le professioni, l’idea stessa di professionismo, di efficienza e di successo. Espressioni come “negri puzzolenti, arabi terroristi, zingari rapitori bambini, serbi assassini, ebrei avari, albanesi puttane” oppure “impiegati statali fannulloni, casalinghe represse, psichiatri pazzi, ballerini froci, calciatori dopatii” ecc. esprimono una comunicazione volgare e generica (quella dei luoghi comuni) che attua una condizione di vita opposta a quella della città che vorremmo veramente. Ogni città è popolata di luoghi comuni ed EveryVille potrebbe liberare tutte le città da questi luoghi, essere la necropoli della superficialità, l’apparato digerente del mondo.
Ad EveryVille viene servito il vero caffè napoletano da napoletani imbroglioni, gli zingari rubano e basta e i rumeni stuprano tutte le donne. Le strade sono piene di prostitute nigeriane e rumene che aspettano sopra cumuli d’immondizia. Ad EveryVille tutti credono alla pubblicità e finiranno come l’Accattone di Pasolini:
“Accattò, senti quel che te dice er profeta: oggi te vendi l’anello, domani la catenina, fra sette giorni pure l’orologio e fra settantasette giorni nun c’avrai nemmeno l’occhi per piagne”.
L’edificazione di EveryVille prende come modello la realtà italiana e nasce con lo scopo di convogliare il razzismo, le paure e il degrado verso un unico luogo liberando definitivamente le nostre città da tanta immondizia e di confinarli lontano per poterli vedere meglio e proseguire così un’opera di emancipazione dalle nostre idee più schifose.
Ad EveryVille certamente non incontreremo poesia o arte…nei teatri, si presentano nuovi modelli di automobili molto inquinanti, i telecomandi cambiano canali ma non possono spegnere gli schermi. La televisione risucchia tutto… non c’è tempo per la vita! Troppo occupati tutti nel mestiere della morte….Nelle scuole, col sostegno delle banche, s’ insegnano le ragioni dell’impresa, il Ministero degli Interni è accorpato al Ministero della Salute ed è diretto da un generale di corpo d’armata che è un medico psichiatra. Piazza del Lavoro nero, Piazza del Pregiudizio, Via della Dipendenza, Via dell’Ipocrisia, Rotonda degli Orientamenti sessuali, Corso degli Abusi in famiglia e l’Assessorato alle Privatizzazioni, il Centro di Assistenza e supporto per la distruzione della Pubblica Istruzione, l’Istituto Professionale per Assassini...sono solo alcuni luoghi di questa Everyville che esiste già in forma di quartiere in ogni città del mondo, ma soprattutto è acquartierata nella mente di ognuno di noi.
Solo la conoscenza della realtà delle cose e la presa di coscienza rispetto a dove e come viviamo può far sì che qualcosa cambi e che l'uomo torni a relazionarsi con il territorio come luogo dove affonda le proprie radici, avendone cura.