Influssi e spazi di flusso


Il tempo di flusso, la società di flusso, gli spazi di flusso…ma flussi verso dove? Sono forse modi per dire che l’orizzonte sociale e le speranze si spostano sempre più lontano ed il cambiamento fluisce sempre meno coerentemente verso l’idea di un mondo a misura d’uomo consapevole? Quanto tutto ciò condiziona il nostro esistere e creare?

I flussi di circolazione delle persone e soprattutto dei beni e i relativi equivalenti economici di guadagno, rientrano in quella dinamicità che i sociologi chiamano spazi di flusso. Vanni Codeluppi scrive che “il sistema capitalistico ha addirittura trovato la sua principale ragione d’essere in tali flussi, che tendono sempre più a creare un unico grande mercato globale. Ma nel corso degli ultimi anni, i flussi circolatori della società dell’ipermodernità si sono ancora di più intensificati e coinvolgono simultaneamente, oltre che persone, beni e capitali, messaggi relativi a pubblicità, moda design, arte, musica e cinema”[1]. L’economia dei flussi immateriali sopravanza dunque quella dei flussi materiali, quindi non solo la pubblicità spinge i consumatori verso beni del tradizionale sistema materiale ma anche verso idee, dottrine, progetti che devono circolare.  

Sara Gonzàlez si interessa soprattutto di queste due narrative, la città globale e gli spazi di flusso e spiega come queste narrative vengono usate dai politici. Fa l’esempio di Bilbao, una metropoli che ha scelto di vendersi come una città globale. Il documento del  piano strategico di Bilbao è uscito nel 1999 e afferma che “deve diventare una città per professionisti”. Citiamo parte dell’intervento di Gonzàlez: “Questa è una narrativa scalare perché i politici locali, quelli che gestiscono la città, narrano una città che deve scalare, che deve diventare globale, da città regionale deve diventare globale….Si basa su una classe di professionisti che stanno in quelli che possiamo chiamare spazi di flussi, che hanno facilità negli spostamenti, ma non tutti hanno questa possibilità, per esempio chi lavora con l’artigianato, ecc. quindi c’è chi rimane fuori da questi flussi. Allora è vero che il capitale è molto mobile, è vero che c’è una classe di professionisti che si possono spostare da un luogo all’altro, ma non per tutti i flussi sono così facili. Queste politiche scalari, come in questo caso le politiche che fanno i politici locali per far diventare le città globali, sono delle strategie per giustificare, difendere e anche imporre un particolare progetto scalare”[2].

In modo acuto e ironico Massimo Mazzone ci fa riflettere sul significato di queste due paroline magiche, “narrativa” e “scalare”  e  cioè “narrativa perché è un racconto, e scalare perché si occupa di tutto, dalle ‘nano-tecnologie’ alle ‘guerre-stellari’, cioè cambia la scala ma mantiene intatte tutte le strutture di dominio, di comunicazione, proprio le strutture del comando”.

Sempre Mazzone, ci descrive che cosa è una narrativa scalare urbana o meglio quello che la letteratura scientifica internazionale definisce narrativa scalare urbana. Egli spiega che è quel processo che si afferma prepotentemente oggi come genere letterario aulico celebrativo, prodotto da innumerevoli autori che, se da un lato ha influenzato la classe politica, ha tuttavia generato processi infrastrutturali giganteschi, politiche socioeconomiche, ha disegnato diversi modelli di welfare e ha avviato numerose speculazioni che hanno finito per ‘guidare’ le analisi degli intellettuali verso narrazioni sempre più funzionali agli interessi delle caste politico finanziarie. La narrativa scalare urbana è dunque un genere letterario aulico celebrativo molto in voga al giorno d’oggi, consiste nel promuovere con sistemi di marketing e propaganda, rifondazioni pseudoidentitarie suggestive, parte di una poderosa battaglia unilaterale, combattuta tra poteri costituiti o Enti nazionali e sovranazionali contro i singoli cittadini, per indurre i secondi a riconfermare spiritualmente e materialmente lo strapotere dei primi ed in definitiva la propria sottomissione [3].

Si usano queste narrative scalari urbane sulla competitività globale internazionale per giustificare degli investimenti che magari ai propri cittadini non interessano. Può darsi che questo tipo di progetti colleghino la città destinata a tale progetto alle altre città in questi flussi, però non è detto che questo tipo di progetti colleghino la città stessa ai suoi cittadini. Collegare in senso astratto la città ad altre città non risolve il problema concreto, per esempio, di collegare i quartieri poveri alla città. 

Tutto questo ci porta a capire che si tratta di un tipo di urbanizzazione in cui è vero che alcuni posti si collegano, ad esempio sarà vero che con la città della moda Milano rientrerà in questi flussi internazionali. Tale concezione però scavalca i cittadini, perché alcuni punti della città stessa rimangono scollegati.Quindi le narrative scalari urbane vengono usate da chi governa per giustificare le loro politiche di investimenti e far diventare le città più globali. Per globale intendono soprattutto in senso economico e finanziario come per esempio avere tante imprese che poi hanno altre filiali all’estero a loro collegate. Sono quindi solo flussi finanziari, di marketing, non di persone che viaggiano, e questo riguarda solo l’economia.In teoria le possibilità per una città sono infinite. Possono diventare città di piccoli quartieri, città culturali, città di immigrati, città in cui le differenze sociali sono ridotte; città per i pedoni, città a basso consumo energetico o città, come propone la Gonzàlez, di progetti scalari egemonici, cioè città dove il progetto si mostra come naturale, oggettivo e come neutrale, città dove un progetto non è una imposizione ma dove è la società stessa che chiede di diventare più competitiva e più internazionale.Affinché vengano attuate scelte meno imposte e più condivise, che è l’obiettivo che Sara Gonzàlez si prefigge attraverso la sua ricerca, e cioè “dimostrare che quello che ci si presenta come normale, per esempio fare diventare la città globale, non è neutrale ma invece una scelta politica, quindi come tale può essere contestata, almeno in democrazia”[4]potremmo, prima di tutto, porre maggior attenzione ai progetti che ci vengono proposti e non assimilarli acriticamente ed in seguito, essere propositivi.Dobbiamo, in definitiva, essere vigili e attivi perché termini come Globalizzazione, Piani Strategici, Riqualificazioni Urbane, Corridoi Strategici Europei, ma anche termini come Metropoli, Citta’ Globale o Città Infinita, come sottolinea ancora Mazzone “rappresentano delle Narrative Scalari Urbane, ossia sono prodotti letterari, romanzi, mitologie … che muovono energie reali e pertanto è opportuno scegliere bene a quale narrazione affidare il proprio destino o i destini di un popolo o di un territorio”[5].